Gli hippie negli anni ’70 (intervista)

Sono nato nel ‘57, quindi nel 1970 avevo 13 anni. La vita che conducevo era piuttosto confusa fino a quell’anno. La musica era una delle tante cose – come il calcio, i fumetti di Tex e di Alan Ford – che si confondevano nella mia mente. Era quella che c’imponevano: canzoni che spopolavano in programmi come San Remo e Canzonissima. In quell’anno conobbi un ragazzo più grande di me, si chiamava Enzo. Lui per la prima volta mi fece sentire delle canzoni di Fabrizio De Andrè: diventò tutto più chiaro. Avevo scoperto che con la musica si poteva parlare di argomenti intelligenti, scandalosi. In quell’anno mi sono formato moltissimo la mente. Quello in cui credevo ciecamente a tredici anni lo credo anche ora.

L’anno dopo, nel 1971 (anno dell’uscita di “Non al denaro né all’amore né al cielo” di De Andrè), Enzo tornò al mio paese e io, che sapevo ormai tutto su De Andrè – rinominato già allora, da pochi iniziati, “il Maestro” – aspettavo con ansia il suo ritorno per parlarne con lui. Inaspettatamente, però, Enzo mi disse che si era messo ad ascoltare un’allora sconosciuta “musica pop”. Mi passò, con fare da carbonaro, una cassetta con alcune canzoni di questo genere e, dopo un attimo di sbandamento, me ne innamorai anch’io. Ricordo che c’era la “Ouverture” di Tommy degli Who, “Cross eyed Mary” dei Jethro Tull, “Letter to Hermione” di David Bowie e tante altre. Dato che Enzo suonava la chitarra acustica, io feci di tutto per imparare a suonare il flauto (strumento allora di moda, grazie soprattutto al grande Jan Anderson dei Jethro Tull). Mio padre però, cui rompevo continuamente le scatole perché me ne comprasse uno, si presentò invece, una sera d’aprile, con una chitarra folk.

Andando al liceo mi potevo confrontare con altri ragazzi (assai pochi in realtà) ferrati sul tema musicale e cominciai a documentarmi per bene leggendo la rivista Ciao 2001 (storica rivista di musica “buona”). Uno dei gruppi che amavamo erano i King Crimson. In Italia erano molto conosciuti, ma purtroppo si erano già sciolti quando li conobbi (dopo il loro quarto album “Island”). Ero diventato un autentico patito della musica pop.
A quei tempi però, non passava né in tv né in radio: era censurata. Per seguire questo tipo di musica bisognava comprarsi la rivista Ciao 2001 in edicola di mercoledì, un giornale stupendo dalle cui pagine emanava l’ambrosia inebriante della verità e della sapienza sotto forma di notizie, recensioni, formazioni, discografie, biografie, foto e date di concerti o seguire la trasmissione radiofonica su Radio 2 dalle 14 alle 15 che si chiamava Per voi giovani, condotta da Paolo Giaccio e Raffaele Cascone (quest’ultimo viene citato nella canzone di Edoardo Bennato intitolata “Venderò”). Sempre al liceo conobbi due amici che mi fecero conoscere la politica. Con poche parole e poco tempo, conobbi Marx e tutti i suoi principi. In quel periodo quindi mi avvicinai moltissimo alla sinistra (extraparlamentare).
L’anno successivo, ebbi la fortuna di vedere in una sala cinematografica di una parrocchia, insieme al mio compagno di banco, il film Woodstock, sulla storia della tre giorni di peace & music nell’agosto del 1969. Questo film mi aprì la mente, sulla cultura hippie. Conobbi i valori del pensiero hippie che possono essere riassunti con due parole:

“L’invenzione più bella del ventesimo secolo: pace e amore”
[George Amado]

Nel 1973 Enzo mi chiamò per andare a vedere al Teatro Alcione di Genova (oggi cinema a luci rosse), il concerto dei Gentle Giant, insieme ad un gruppo spalla, gli Acqua Fragile (di Bernardo Lanzetti). Quello fu il primo concerto della mia vita, e fu in assoluto il più bello. Da quel concerto l’amore per la musica si sviluppò sempre di più.
Nel novembre del 1974, ascoltando Selling England by the pound, disco famosissimo dei Genesis, mi feci il mio primo spinello. Cominciai a frequentare quel gruppetto militante e agguerrito dei freaks delle mie parti, nel ponente ligure, che erano poco più grandi di me. Spostai così il baricentro dei miei interessi dall’ambiente politico a quello hippie, coltivando segretamente in me il desiderio di vivere e agire in base ai principi e ai valori che quel movimento dettava.
Si devono distinguere due anime, contigue e complementari, del “movimento” giovanile degli anni ‘70, in Italia e non solo: gli hippies e la sinistra extraparlamentare. I politologi odierni, che si ostinano a prendere sul serio solo la parte politica – facendo leva sulle deformazioni, il dogmatismo ideologico e la degenerazione terroristica, per giudicare e condannare in blocco quegli anni – non hanno capito nulla.

Il primo maggio 1975, uscendo di casa incontrai un mio amico che mi propose di prendere un acido insieme a lui. Accettai, e da quella sera, non tornai più a casa e non rividi più mio padre. Per poter vivere “on the road”, come da tempo sognavo, mi staccai da tutte le cose che avevo: la raccolta di Tex, e perfino dai miei dischi, collezionati con tanto amore, ma nonostante questo, non mi staccai mai dalla musica.

La musica di allora parlava direttamente a noi ragazzi che vivevamo sulla strada. Gli artisti più famosi, erano ragazzi come noi, che facevano le nostre stesse esperienze, vivevano come noi, e con la musica ci parlavano: ci davano consigli su come vivere, ci consolavano nei momenti più duri oppure ci alimentavano la gioia nei momenti più belli. C’era un rapporto diretto, molto stretto, tra gli artisti e noi ragazzi. Però, come già detto, non avevamo la possibilità di trovare questa musica nei canali ufficiali, che si ostinavano a trasmettere esclusivamente gruppi come i Pooh, Baglioni e Battisti. Sarebbe stato più facile veder passare una mandria di cammelli in una cruna di un ago, piuttosto che gli artisti “pop” per radio o televisione. Ma, nonostante ciò, essi erano diventati comunque famosissimi, e vendevano centinaia di migliaia di copie di dischi. Ciò vuol dire che si era formato un movimento molto vasto, di “massa”, fortemente alternativo ed egemone rispetto al sistema dominante.

L’ideologia hippie, come ogni ideologia, ha dei suoi principi. Uno dei tanti era l’amore per la natura e il ritorno alla natura stessa. Per questo, per esempio, coi miei amici spesso partivamo a piedi con sacchi a pelo, chitarre e accette e andavamo a fare dei campi nei boschi, in prossimità di torrenti. Lì ci costruivamo della capanne per dormire, e per tre o quattro giorni restavamo immersi nella natura, prendendo acidi, fumando marijuana, suonando e mangiando riso integrale cotto al fuoco del falò. Si stava insieme, uniti, come veri e propri fratelli, lontani dalle città, dopodiché si tornava a valle pieni di energia e voglia di vivere.

Noi hippie facevamo uso di droghe appunto, ma Il movimento accettava solo droghe che non inducevano assuefazione. Le altre non erano considerate droghe, ma veleni, e non erano accettate. Come principio sono accettate la cannabis, LsD (acidi), funghi allucinogeni, vino e birra. L’eroina, cocaina e altre droghe come queste non erano accettate.
Gli acidi sono una droga potentissima che altera le funzioni psichiche, però non altera il senso dell’ego. Infatti, una delle cose che ci insegnavano all’epoca, era che quando l’acido andava a male, anche nel momento più paranoico, ti dovevi ripetere questa frase: “quello che mi sta succedendo è solo l’effetto della droga, e prima o poi deve finire”, così, e solo così ti potevi salvare dal diventare pazzo.

Secondo e importante insegnamento era: I primi acidi sono sempre belli e piacevoli, ma prima o poi quello brutto ti capiterà, allora devi avere la forza e l’intelligenza di dire basta. Anche perché l’acido è una droga, che al contrario dell’eroina, non da dipendenza, ma è la persona stessa che decide di prenderne.
Un altro principio fondamentale del movimento hippie era: cercare di limitare l’uso della tecnologia, secondo il dettame “usa senza essere usato” (dunque, non un vero e proprio rifiuto). Se si mettono insieme l’amore per la natura e il “rifiuto” della tecnologia viene fuori un atteggiamento molto sospettoso per l’automobile. Per questo, noi hippie cercavamo sempre modi alternativi di viaggiare: uno di questi era il comune autostop (quindi sfruttare le automobili che già c’erano per non gravare ulteriormente sull’inquinamento atmosferico), o anche viaggiare in treno senza biglietto (nascosti nei bagni). L’hippie è squattrinato e non lavora. Noi ci rifiutavamo di lavorare e partecipare attivamente alla società. Questo chiamarsi fuori, è descritto molto bene nella canzone “Wooden Ships” di David Crosby.

Go take your sister then by the hand
Lead her out of this foreign land
Far away where we might laugh again
We are leaving, you don’t need us
You don’t, you don’t …

Vai, prendi tua sorella allora per la mano
Guidala fuori da questa terra straniera
Lontano dove potremmo ridere ancora
Stiamo partendo, voi non avete bisogno di noi
Non ne avete, non ne avete…

Questo atteggiamento rispecchiava quello dei Sadhu dell’India, che nella cultura induista sono i saggi che vivono senza fissa dimora grazie all’elemosina della gente. Noi hippies eravamo lo stesso. Al contrario d’oggi, che a chiedere le elemosina sono rimasti solo i poveri, costretti farlo per necessità, prima noi la facevamo per scelta di vita. Tutto questo andava contro la società borghese, e per i genitori era un vero e proprio incubo sapere che il figlio andava in giro facendo “colletta”.

Sul piano personale l’autostop l’ho praticato molto. Per esempio nel 1976 dalla Liguria, partimmo in cinque, e in autostop, treno e facendo colletta andammo: prima all’Isola D’Elba, poi in Sicilia sull’Etna, da li tornammo a Civitavecchia e arrivammo in Sardegna. Dopo un po’ di tempo insieme ad un mio amico decidemmo di venire qui a Roma. Qui dormivo sempre col sacco a pelo e avevo trovato un lavoro degno della mia passione per la musica: fui assunto da un’anziana signora per vendere musicassette di contrabbando alla Stazione Termini. Lì c’era una vera e propria mafia, dove la maggior parte dei banchi appartenevano ad un camorrista napoletano. Al contrario degli altri, io però non vendevo cassette di musica “commerciale” (come la chiamavamo noi), ma ero l’unico che vendeva cassette di musica Pop/Rock. Tutto questo dall’ottobre 1976 al marzo 1977. Da lì ebbi l’opportunità di vedere passare davanti a me folle oceaniche di studenti che manifestavano quasi ogni giorno. Nel 1978 andai in autostop in Olanda. Lì andai ad abitare in una casa occupata, dove viveva un mio amico, Detlev, e altre tre coppie di hippies. Dopo la mia esperienza olandese, dove ebbi l’onore di vedere un concerto di Bob Dylan, tornai giù in Liguria nel giugno 1978. Qui, mi accorsi che l’eroina aveva già cominciato a corrodere la gioventù. Incontrai un po’ di vecchi e nuovi amici che avevano avuto l’idea di mettere in pratica i sani principi hippie, e fondammo una comune agricola. Una cooperativa chiamata “Terra Madre”. Occupammo le terre del demanio, e cominciammo a praticare l’agricoltura biologica (i primi in assoluto a praticarla siamo stati noi hippie, a quel tempo derisi da tutti). Nel fine settimana la nostra comune, raccoglieva moltissimi giovani, cui davamo anche da mangiare.

Il punk era già nato ma in Italia non si conosceva e non era molto diffuso. Fino all’81 lavorai nella comune, quando ormai era circondata da ragazzi eroinomani. Ragazzi con cui prima dividevi un pezzo di pane, ora facevano di tutto per rubarti qualunque cosa per comprarsi l’eroina. In quegli anni, ci fu una vera e propria degenerazione dovuta all’eroina.
Quindi nel 1981 decisi di tornare a Roma. Qui però, non trovai la situazione che c’era negli anni prima: Piazza Navona non era più affollata da giovani hippies che suonavano e fumavano insieme, bensì, da tossici, ladri e psicotici.
Dal 1980 in poi, il movimento hippie è imploso sia per cause interne, per colpa dell’eroina, e sia esterne, a causa della controffensiva ideologica-culturale dei nuovi governi mondiali e dei loro capi: Ronald Regan negli U.S.A., Margaret Thatcher nel Regno Unito, Bettino Craxi in Italia, e bisogna dire che perfino Papa Giovanni Paolo II ci mise del suo ai fini della “grande normalizzazione” delle società occidentali e della sconfitta di quel magico e bello – e a tutt’oggi unico nel suo genere – movimento di massa.

Franco Fosca

Note su "Gli hippie negli anni ’70 (intervista)"

Intervista realizzata a Franco per una tesina sul tema degli hippie e degli anni ’70 realizzata da Paolo Sbaraglia, che ringraziamo.

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